La bellezza del somaro di Sergio Castellitto

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locandina La bellezza del somaro
 
Regista: Sergio Castellitto
Titolo originale: La bellezza del somaro
Durata: 107'
Genere: Commedia
Nazione: Italia
Rapporto:

Anno: 2010
Uscita prevista: 17 Dicembre 2010 (cinema)

Attori: Laura Morante, Sergio Castellitto, Barbora Bobulova, Lola Ponce, Erika Blanc, Lidia Vitale, Gianfelice Imparato, Marco Giallini, Emanuela Grimalda, Enzo Jannacci
Soggetto: Margaret Mazzantini
Sceneggiatura: Margaret Mazzantini

Trama, Giudizi ed Opinioni per La bellezza del somaro (clic qui)...In questa pagina non c'è nemmeno la trama per non fare spoiler in nessun caso.
 
Fotografia: Gianfilippo Corticelli
Montaggio: Francesca Calvelli
Musiche: Arturo Annecchino
Scenografia: Francesco Frigeri
Costumi: Chiara Ferrantini

Produttore: Roberto Cicutto, Luigi Musini, Sergio Castellitto
Produttore esecutivo: Patrick Carrarin
Produzione: Cinemaundici, Alien Produzioni
Distribuzione: Warner Bros.

La recensione di Dr. Film. di La bellezza del somaro
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Informazioni e curiosità su La bellezza del somaro

Note dalla produzione:
NOTE DI REGIA
Maneggiare un tema serissimo nell’acqua della commedia è scommessa ardua. L’impresentabilità che nella nostra società siliconata rappresentano la morte e la vecchiaia sarebbe soggetto più consono per una lettura “drammatica”. Invece no.
Mi interessa dissotterrare tutto l’umorismo possibile da un tema difficile. Perché la commedia offre un’intelligenza, una leggerezza di lettura che si trasforma, se trattata con gusto, in analisi di costume, riflessione sarcastica eppure filosofica sulla nostra vita, sui nostri rapporti umani. Uomini attempati che si comportano come ragazzi, genitori di figli che li guardano, con una certa estraneità, avviarsi saltellanti con la sacca dello sport verso la palestra … Madri apparentemente altruiste, in realtà ego-riferite, preoccupate di quelle rughe che inesorabili appaiono sui loro volti.

Una commedia per raccontare la nostra confusa inadeguatezza, ma anche per ricordarci la struggente nostalgia che in fondo tutti noi continuiamo ad avere per la verità delle relazioni umane. Insomma, parabola umana “spietata” e umanissima, alta e bassa, che non si nega la comicità più popolare ma nemmeno il gioco affettuoso della malinconia e della dolcezza.
Una coppia di genitori illuminati si vedono recapitare a casa come fidanzato della figlia minorenne ancora per poche settimane, Armando, un settantenne gentile, affabile, affidabile. Un rivoluzionario perché è l’unico tra gli adulti a non fingersi di un’altra età, non fa parte della categoria sempre più affollata dei finti giovani, di quelli che si tingono i capelli, si siringano di botulino, indossano Armaniane t-shirts nere. No, il nostro è un vecchietto discreto in giacca di tweed e camicia di fustagno.
Non si può buttarlo fuori di casa, bisogna tenerselo tra le scatole almeno per un fine settimana. Con l’aggravante che è il ponte dei morti, festività ferale.

Ad uno ad uno saltano i pezzi del puzzle politically correct. In un mondo di deodoranti e di creme spalmate ovunque, il vecchio è portatore di una verità scomoda come una pernacchia in una conferenza inamidata. E il film è questa pernacchia, una tragicomica frana che inghiotte i simpatici Sinibaldi, coppia giovanilistica e dialogica, emblema di una certa famiglia di oggi, moderna ed illuminata. Basta una piccola eclissi a spegnere la luce della civiltà, del decoro. E anche il lume della ragione si spegne, si regredisce a una primordialità infantile.
Tutto diventa scorretto, colpi bassi come in ogni guerra. E in questa guerra da burla, le persone tirano fuori la parte più nascosta di se stesse, gli animi si rivelano, franano le ipocrisie che rivelano le loro mancanze. La bellezza del somaro è quella spontanea dei ragazzi, una bellezza un po’ stolta e sfacciata. Eppure struggente.
La giovane Rosa ha portato in casa attraverso l’anziano Armando una verità che farà bene a tutti, uno tsunami etico, pretesto per una esilarante commedia degli equivoci del moderno costume.
Sergio Castellitto


Interviste.

Laura Morante (Marina Sinibaldi)
Chi è il tuo personaggio?
Marina fa la psicologa della A.S.L., ed è una donna che prende molto sul serio il proprio lavoro… Forse lo spettatore la prenderà un po’ meno sul serio, ma in ogni caso lei ci crede molto, e quindi gestisce il rapporto con i suoi pazienti con grande impegno ma anche in maniera un po’ stravagante. È figlia di un lacaniano, morto da tempo, per il quale ha una sorta di devozione e rispetto assoluti, ed il rapporto che instaura con i suoi assistiti – nel film ne vediamo principalmente due – trascende un po’ il normale rapporto tra un paziente e il suo psicologo o psicanalista, tanto che questi finiscono per sconfinare anche nella sua vita privata. Infatti, nella villa in toscana dove trascorre assieme alla famiglia e agli amici questo lungo weekend, porta con se anche i due pazienti, difficili da gestire.
È una donna un po’ insicura; la sua vita matrimoniale – si intuisce nel corso del film – è andata man mano spegnendosi, e sia Marina che Marcello (Sergio Castellitto) sono troppo concentrati sull’unica figlia, una post-adolescente sulla quale riversano tutto il loro amore, mentre la ragazza, invece, cerca di sfuggire al controllo amorevole dei suoi genitori. Loro non sanno più come comportarsi nei suoi confronti. Hanno impostato la sua educazione sulla base di un atteggiamento estremamente democratico e aperto, sono pronti ad accettare qualunque cosa, o almeno così pensavano… infatti questa ragazzina trova il modo di proporre qualcosa di assolutamente inaccettabile persino per due genitori aperti e democratici come loro. Questo scatenerà una serie di conseguenze e tutto si rimetterà in discussione durante questo tranquillo weekend di paura in Toscana.
Succederà di tutto, e la vicenda degenererà con risvolti tragici, o meglio tragicomici, tanto che anche i genitori sveleranno le paure e i tabù che si celano dietro questa apertura di idee e questa mentalità così moderna. La loro figlia, in modo più o meno intenzionale e provocatorio, metterà tutti gli adulti di fronte al loro infantilismo, tanto che i suoi genitori, così come i loro amici, finiranno per sembrare più immaturi dei ragazzi stessi.

Quali sono gli aspetti che ti hanno colpito di più del tuo personaggio?
Per la verità mi ha colpito molto Castellitto… durante la scena della lite coniugale!! Ho avuto il distaccamento del tendine dell’anulare destro… A parte questo, ad una prima lettura la sceneggiatura mi è sembrata quasi un vaudeville, una commedia scatenata dai toni piuttosto grotteschi. Forse non avevo mai fatto un film così. Ho fatto delle commedie, ma mai un film giocato su situazioni così paradossali. Ad una prima lettura rimani spiazzato… poi scopri che in realtà i temi del film, sebbene vengano trattati con toni comici, grotteschi e a volte paradossali, sono tutt’altro che leggeri.
Sono temi che ci toccano da vicino, dal rapporto con i ragazzi adolescenti, al problema delle coppie, all’esigenza di mostrarsi sempre adulti che si rivela invece un’incapacità a farlo, cosa che di per sé forse non è nemmeno troppo negativa, ma che alla lunga può creare problemi, quando soprattutto i figli si accorgono che i genitori non sono infallibili, ma che sono disorientati, smarriti, persi; e in casi simili a volte i ragazzi se ne approfittano, anche con una crudeltà che risulta una sorpresa per un genitore: arriva sempre un momento in cui – ed è un fatto piuttosto naturale, e in qualche modo abbastanza sano – un figlio ti muove un rimprovero e ti chiede «ma perché non sei perfetto?», e tu arranchi tentando disperatamente di recuperare quest’immagine di perfezione finché non ti rendi conto che non c’è niente da fare, sei irrimediabilmente, fatalmente, definitivamente imperfetto. In fondo il passaggio all’età adulta dei tuoi figli è segnato proprio dall’accettazione di questa tua imperfezione, fragilità, disorientamento. E questo di per sé non è un argomento leggero, e può prendere anche dei toni drammatici. Nel film si decide di affrontare tutto ciò con toni diversi, e la cosa è, almeno all’inizio, spiazzante, ma poi ti rendi conto che uno dei meriti del film è proprio la sua capacità di far passare in un vortice di avvenimenti comici e paradossali una serie di messaggi, anche forti, che abbiamo bisogno di sentirci dire.

E sulla relazione tra il tuo personaggio e quello di Sergio Castellitto?
La loro è una coppia che si è concentrata eccessivamente sulla figlia, che infatti è anche un po’ viziatella. Pur vivendo l’uno accanto all’altra, si sono un po’ persi di vista. Marina si è chiusa un po’ in se stessa e si sente che in questo rapporto c’è poca fisicità: col pretesto della cervicale, va a letto tutte le sere con un collarino, che è un modo - non so quanto cosciente - di tenere a distanza il marito, il quale, come accade sovente, trova soddisfazioni altrove. Ma nel contempo si percepisce che il loro rapporto non è morto, è solo sopito e c’è ancora del fuoco sotto la cenere; non sono un uomo e una donna che hanno smesso di amarsi. Non è un film cinico. Marina e Marcello si amano, e amano ricambiati la figlia… c’è molto amore in questo film, però è un amore mal speso, mal utilizzato, mal interpretato… credo che Marcello sia addirittura geloso del padre di Marina, di questa figura inarrivabile, irraggiungibile, inimitabile, al quale lei ha tributato una devozione eterna, un culto, quasi. E Marcello è un po’ infastidito e anche geloso di questa figura così importante, e dunque anche lui cerca il suo ruolo.
Hanno una domestica che impartisce ordini e li tratta come due zerbini. Marina ha una madre, Venanzia (Erika Blanc), che si è goduta la vita ed ha tutta l’intenzione di continuare a farlo, a differenza di Marina che è così imbevuta di doveri, così moralista in fondo - anche se di un moralismo aperto, democratico, moderno - e che finisce però per essere vittima di tutti, del marito, della figlia, dei pazienti, tanto da suscitare a volte in Venanzia quasi il desiderio di dirle: «ma figlia mia, ma perché non smetti di preoccuparti e non inizi a vivere?». E Marina stessa da una parte sente che sua madre non ha tutti i torti a spingerla verso una maggiore leggerezza, mentre dall’altra la reputa sostanzialmente immatura. Tutti questi ruoli, e tutte queste posizioni, si modificano nel corso del film, all’inizio i personaggi sono – o credono di essere – in un modo, e poi invece si rivelano, o si scoprono in un altro. E in questo senso nessuno dei personaggi resterà uguale a se stesso alla fine del film.

Il film ha un impianto molto corale. Come ti sei trovata a lavorare in questo contesto, con molti attori, per certi versi più simile al teatro che al cinema?
A me piace molto lavorare con gli altri, forse perché nella vita ho difficoltà a stabilire dei rapporti, e dunque, soffrendo di solitudine, mi piace essere circondata da persone, colleghi. Ho sempre pensato che quando si recita sia importante la musicalità, e in fondo lavorare con gli attori su un film è un po’ come suonare in un’orchestra, c’è una partitura, un direttore d’orchestra e poi ci sono gli altri musicisti con i quali bisogna trovare un accordo, una sintonia. Questo per me è forse l’aspetto più seducente del nostro lavoro: l’idea di lavorare insieme ascoltandosi, stimolandosi e rispettandosi a vicenda. Lavorare con un attore che ti restituisce la battuta in maniera complice cambia tutto: la stessa scena recitata con un attore diverso è un’altra cosa, perché in fondo è veramente una questione di musicalità, ci sono attori che hanno orecchio e attori che non ce l’hanno, attori che hanno musicalità, altri che recitano solo per se stessi senza prepararsi il ruolo a casa; per me ad esempio il ruolo non si prepara mai a casa, o meglio, un po’ sì, ma poi il film si fa sul set.
Certo, è un rischio, può succedere di trovarti su un set nel quale non hai stimoli, non hai intesa con gli altri attori, sei improvvisamente paralizzato dalla timidezza (perché tutti gli attori sono timidi, checché se ne dica), e dunque la scena può non riuscire, però credo che valga sempre la pena rischiare: un attore che lavora principalmente a casa propria, e che arriva sul set con la parte già pronta, come fosse cibo precotto da riscaldare al momento, propone una cosa che non sa di niente. Recitare è bello proprio perché lo si fa insieme agli altri, e per tutto quello che di imprevisto e imprevedibile può accadere al momento, e anche se le battute sono scritte e la sceneggiatura è rispettata sino in fondo, quello che succede sul set è, e deve essere, un avvenimento. E tutto ciò accade solo nel confronto con gli altri. Mi piace lavorare con i colleghi; mi piacciono i pianisequenza; mi piacciono i piani americani in cui gli attori si possono muovere, e penso – a torto o a ragione – che gli unici attori che sono favoriti dall’eccesso di primi piani siano i cattivi attori: se un attore è bravo recita col corpo, recita nel movimento, recita con gli altri; i primi piani si fanno per favorire gli attori mediocri, perché un primo piano funziona sempre, uno ha dei begli occhi, sta lì e si lascia riprendere… recitare invece è usare il corpo, sfruttando il più possibile il piano sequenza e lavorando con gli altri attori.

Come ti sei trovata a lavorare con Sergio, e cosa aggiunge a questo il fatto che lui sia un attore, oltre che regista?
Io penso sia un vantaggio che un regista sia anche attore – che poi lo faccia o meno è ininfluente – perché aiuta tantissimo a capire come funzionano gli attori; ci sono registi bravissimi che non sanno dirigere gli attori, che non riescono a tirare fuori il meglio da loro, perché non sanno come gestirli: in questo un regista-attore è avvantaggiato. Dall’altro lato il rischio è che il regista-attore durante una scena si alieni e invece di recitare si preoccupi dei movimenti di macchina. Questo qualche volta con Sergio è successo, durante una scena a due: se la macchina da presa era su di me lui invece di recitare con me si preoccupava della direzione; c’è di buono però che essendo appunto anche attore, al minimo accenno di disagio da parte mia subito si rendeva conto della cosa e rientrava nel personaggio per accompagnarmi nella scena. Ma a parte questo piccolo inconveniente, in realtà penso che sia un grande vantaggio, perché da attore Sergio capisce come gli attori funzionano.

E com’era l’atmosfera sul set?
Per tanti anni, facendo il cinema d’autore, mi dicevo: «però che fortuna quelli che fanno i filmacci, vanno sempre a girare in posti belli!». Il cinema d’autore è sempre incentrato su location piuttosto squallide, e mentre vedevo i miei colleghi partire, che ne so, per i Caraibi, io restavo sempre in provincia, o alla periferia di Milano: perché per il cinema d’autore sembra quasi più intellettuale girare nei posti brutti! E invece poi ogni tanto, come in questo caso, ti capita di fare un film bello in un posto bellissimo, la Val d’Orcia. A me poi sembra quasi di portare acqua al mio mulino, perché son di lì vicino, e la Val d’Orcia l’ho sempre frequentata, è piena di posti bellissimi! Che vuoi di più? Giri un film, ti diverti, ti pagano, stai in un posto bellissimo, tra queste colline che in autunno assumono dei colori meravigliosi.
C’erano anche tanti animali che hanno reso l’atmosfera ancor più divertente: c’erano questi due somari molto simpatici, di cui mi sono innamorata a tal punto che quando ho saputo che hanno separato la madre dal figlio mi son dispiaciuta parecchio; poi c’era un serpente, che mi piaceva un po’ meno, c’erano dei criceti, e poi i miei cani, che sono stati felicissimi di stare in campagna… è stato un periodo particolarmente gioioso, a parte il tendine! Non è così frequente lavorare in condizioni così positive, luminose, liete, ed è stata una bella fortuna!


Marco Giallini (Duccio)
Parlami del tuo personaggio: chi è Duccio?
Duccio è un cardiologo, un uomo borghese con diverse passioni; la più grande è quella per le donne. Tutte le donne. Si può dire che sia un puttaniere…

Qual è il lato più tragicomico del tuo personaggio, la parte più brutta del suo carattere?
Duccio è uno che è cresciuto dentro i suoi vestiti… e infatti gli stanno tutti un po’ corti!
È uno che non cresce, che conserva ancora i vestiti di quando era giovane, che ha due o tre mogli sparse per il mondo, un numero imprecisato di figli, è un rappresentante della borghesia di oggi… In fondo è un uomo disperato, un altro personaggio con un risvolto drammatico che si attacca alle cose per non affondare, che si fa ancora le canne… insomma, è un ragazzotto disperato che aspetta la morte.

Come ti sei trovato ad affrontare l’aspetto corale del film, le scene in cui giravate tutti insieme?
Devo ammettere che l’aria che si è respirata su questo set era meravigliosa. E’ stato fantastico lavorare sia con Sergio che con tutti gli altri attori: è una cosa che si dice sempre per tutti i film, ma in questo caso è proprio vera! Sono arrivato che non conoscevo nessuno, a parte Barbora Bobulova, ed ho conosciuto attori meravigliosi: Emanuela (Grimalda), Svetlana (Kevral), Laura (Morante), Gianfelice Imparato, che è stato una vera scoperta, siamo diventati poi davvero amici… è stato un set allegro e mi sono davvero divertito.
Sergio poi è un grande regista, oltre che un grande attore, e devo dire che mi sono trovato circondato da veri talenti, persone che fanno questo mestiere seriamente… alcuni anche troppo, del tipo che si svegliano la mattina alle 7.00 già nel personaggio, che se mi incontrano non mi salutano! È bello trovare dei pazzi del genere.

E com’è stato lavorare con Sergio, considerato che lui è anche un attore?
Con Sergio avevo già lavorato nel suo Non ti muovere e insieme abbiamo fatto anche un altro film, L’Aviatore di Carlo Carlei. Insomma, lo conosco da qualche anno, e quando mi ha voluto per questo film sono stato molto contento.
Mi preme sottolineare che è stata un’esperienza molto bella e divertente, e anche il posto dove abbiamo girato, San Casciano, è bellissimo… tra l’altro ci siamo fatti grandi mangiate: champagne, ostriche, che sono tipiche della Val d’Orcia… no, scherzo, ci facevamo grosse ribollite, fiorentine, tant’è che ho preso tre o quattro chili!
Mi mancherà questo set, mi mancheranno le persone, l’allegria.


Barbora Bobulova (Lory)
Chi è il tuo personaggio?
Il mio personaggio, Lory, è un’attrice mancata (o un’attrice fallita). È una ragazza incapace di concepire la sofferenza, nel senso che per lei la vita è una gioia, per cui non subisce frustrazioni, ma gioisce, gioisce di qualunque cosa, anche dei suoi fallimenti, o dei suoi rimpianti. Lei è felice di tutto quello che le succede, di tutto quello che vede, anche se è storto… è un po’ come Alice nel paese delle meraviglie, vede cose brutte e riesce a trovarne il lato positivo. A lei piacciono persino le persone squallide che ruotano attorno alla sua vita… Lory è una che si gode la vita, a modo suo… è come se indossasse sempre degli occhiali rosa, e quindi per lei tutto è favoloso.
Lory è una paziente di Marina (Laura Morante), e viene invitata da lei per il ponte dei morti nel casale nella campagna toscana, e nonostante si svolgano dei drammi familiari, quello che lei percepisce è tutto bello, tutto rosa, perché le sembra quasi di guardare un film. È l’unica a prendere la vita dal suo lato positivo. Sembra quasi venire da un altro pianeta, e vuole sempre essere al centro della scena, qualunque evento sopraggiunga, ma tutto quello che dice e che fa è completamente fuori dalla realtà, fuori dal mondo, tanto che davvero tutti la guardano come fosse una marziana.
Il suo è un ruolo bellissimo, che raramente capita ad un’attrice, e se poi succede di essere diretti da un regista-attore sensibile come Sergio è ancora meglio.
Si tratta infatti di uno di quei ruoli a rischio, bisogna stare molto attenti a non strafare e a non cadere nei cliché: recitare il ruolo della “matta” non è semplice, che vuol dire “matta”? ci sono tantissime sfumature, e non si deve correre il rischio di cadere nella banalità. Sotto la guida di Sergio mi sono sentita bene, e credo che assieme abbiamo fatto un ottimo lavoro.
A differenza degli altri personaggi, Lory vive fuori della realtà, è come se fosse una bambina mai cresciuta, perciò vive e vede la realtà diversamente dagli altri: è come se vedesse le cose per la prima volta, si stupisce di tutto, come se avesse ancora un’anima molto pura rispetto agli altri, che da un lato fa tenerezza, ma sicuramente dall’altro è un punto debole, perché persone come Lory non vengono comprese dal mondo esterno.
È un personaggio un po’ assurdo nel suo modo di fare, di ragionare e soprattutto di reagire alle cose.

Com’è stato lavorare su questo set?
Su questo set si è lavorato in maniera molto teatrale, ogni scena era “messa in scena”, costruita, esattamente come si fa in teatro, e poiché io vengo dal teatro, ho lavorato molto in palcoscenico e lo conosco bene, mi è piaciuto tantissimo ritrovare la stessa atmosfera, gli stessi tempi, gli stessi ritmi, pur se su un set cinematografico: ognuno di noi doveva trovarsi un posto, perché le scene duravano tantissimo, erano tutti piani sequenza e bisognava rispettare al millesimo dei tempi ben definiti, esattamente come succede in teatro; non è stato difficile, tutt’altro: questo modo di lavorare è estremamente stimolante perché si sente la forza del gruppo. Mentre nel cinema, solitamente l’attore è solo, sul set di Sergio questo non accadeva, perché non c’era un unico protagonista, ma il vero protagonista era il gruppo, e tutto si doveva incastrare, tanto che se saltava un solo elemento, se un attore si perdeva, la scena tutta smetteva di funzionare. E tutto ciò era molto bello, perché sul set si sentiva questa energia, che si è creata anche grazie a Sergio e che abbiamo portato avanti per tutto il tempo delle riprese.

Com’è stato lavorare con Sergio?
Lavorare con Sergio è meraviglioso, poiché essendo anche attore, conosce bene i meccanismi della recitazione, conosce le difficoltà che un attore può avere sul set, pertanto la prima cosa che fa è mettere a proprio agio gli interpreti, e questo non è un fattore da sottovalutare, poiché credo che la commedia si possa fare solo in un ambiente sereno e tranquillo: sono tanti i momenti in cui un attore può sentirsi ridicolo, ma se il regista ti mette a tuo agio va bene anche sembrare ridicolo, fare errori, impappinarsi, ripetere… son tutte cose che fanno parte di questo lavoro. Per me il set di Sergio è stato uno dei più belli sui quali abbia lavorato finora, perché si è creata davvero un’atmosfera bellissima, non solo tra gli attori, ma anche con la troupe: eravamo tutti molto affiatati, e questo è stato anche un ottimo contributo per il film, dato che credo che sullo schermo poi si percepisca. Lavorare percependo la stima e l’appoggio che ti da il regista è meraviglioso, lo senti che cerca di tirare fuori il meglio di te e non ha trascurato nessuno, nonostante lui fosse contemporaneamente il regista, il protagonista, e avesse da gestire tantissime persone tra attori e troupe. Ha davvero curato tutto fin nel minimo dettaglio senza tralasciare nessuno.


Gianfelice Imparato (Valentino)
Chi è Valentino, il tuo personaggio?
Valentino è un personaggio delizioso, dal punto di vista drammaturgico, un personaggio molto complesso, perché è un uomo che si immerge completamente nel lavoro per non pensare ai fallimenti della propria vita, è uno che corre dietro alla Borsa, ai titoli, per non guardare il disastro emotivo e familiare che lo circonda. È una persona conscia della situazione penosa che lo avvolge, ma che preferisce fingere di non vedere ed astrarsi per stare bene. È uno che preferisce aiutarsi con “certe pillolette” - suggerendone ad un certo punto l’uso anche al suo amico Marcello (Sergio Castellitto) - pur di non vedere il disastro intorno a sé. È un personaggio con tante sfumature, malinconico come tutti i personaggi che nel film risultano divertenti: la bellezza di questo film sta proprio nella messa in scena di un dramma sotto forma di commedia. È una commedia abbastanza amara ma vera, basata su tutti i canoni tipici del genere, dove la comicità non viene dalla trovata comica, ma proprio dall’amarezza delle situazioni.

Qual è il lato tragicomico di Valentino?
Più che il lato tragicomico, è la comicità stessa di questo personaggio che scaturisce dal meccanismo tipico del genere, ovvero da una forma di cinismo: a chiunque vien da ridere se qualcuno inciampa e fa una caduta rovinosa per terra, eppure non c’è nulla di comico per quello che inciampa… la comicità scaturisce dal cinismo, c’è sempre una forma di cattiveria nel meccanismo comico, c’è sempre una vittima, e questo film fa esattamente questo: coglie i personaggi nella loro dimensione tragica in maniera tale da suscitare il riso.

Com’è stato lavorare sul set?
È stato meraviglioso, perché al lavoro corale nel teatro ero abituato, mentre al cinema no, ed è stata un’esperienza intensa: vedere una squadra che sta tutto il giorno sul set, che a seconda delle invenzioni di Sergio – e ne ha tante – è pronta a cambiare tutto, le scene, le battute, per costruire il film hic et nunc, giorno per giorno… insomma, è un modo di lavorare favoloso e quest’esperienza sul set è stata per me importante, perché ho poi avuto modo di incontrare vecchi amici e conoscerne di nuovi. Sempre, quando un film finisce, ti prende un po’ di malinconia: in questo caso un po’ di più…

Come ti sei trovato a lavorare con Sergio?
Sergio lo conosco da moltissimi anni, e anche senza avere con lui grandi frequentazioni, c’è sempre stato un rapporto cordiale, di affetto, direi. Mi sono anche trovato bene a recitare con lui, perché essendo attore, è uno che parla anche il mio linguaggio, sicché ci si capisce al volo e non c’è bisogno di tanti giri per comprendere cosa vuole da te: semplicemente te lo mostra con intenzione da attore, che tu cogli e poi realizzi. Molti registi tendono a guardare l’attore come “materia purtroppo indispensabile” alla realizzazione di un film, mentre Sergio vede gli attori come parte del suo lavoro, e fonte di gioia nel dirigere, nel dare indicazioni, suggerimenti – che dispensa anche in maniera generosa – ed anche questa è un’esperienza molto bella.


NINA TORRESI (ROSA)
Chi è il personaggio che interpreti?
Il mio personaggio è Rosa, una ragazza di quasi 18 anni: è una giovane adulta, molto più matura della sua età e rispetto anche ai suoi amici, Francipalla (Valentina Mencarelli), Niccolò (Rudy Gandola) e Aldo (Valerio Lo Sasso). Rosa è una ragazza molto brava a scuola, una che prende 9 alle versioni di greco e di latino, ed ha un rapporto con i suoi genitori molto divertente, dato che i ruoli sono totalmente rovesciati: è Rosa, la figlia, ad avere il totale controllo sui suoi genitori, ed è addirittura lei stessa a fare da genitore ai suoi, che sempre più si comportano come degli adolescenti. Marcello (Sergio Castellitto) e Marina (Laura Morante) sono due eterni Peter Pan: il padre, con i suoi amici, organizza i tornei di ruba bandiera, è quello che, come dice in una scena, «compra i racchettoni»…
Il mio personaggio viene presentato in una normalissima scena di vita quotidiana familiare, ambientata in questa famiglia borghese romana nella quale si ride, si scherza, si discute, si parla di scuola, di voti, si festeggiano compleanni: una famiglia normalissima, insomma.
Nel momento in cui però questa famiglia si trasferisce nel casale, inizia la trasformazione profonda, che riguarda tutti: Rosa decide di far pagare ai suoi genitori la loro immaturità, mettendoli alla prova. Si può dire che il suo arrivo al casale coincide con la sua metamorfosi da rosellina, dolce e con la testa sulle spalle, a vera e propria belva feroce che esplode e si arrabbia con i genitori per via delle loro mancanze e per il loro essere sostanzialmente immaturi - arrivando persino a domandarsi se non facciano uso di droghe leggere. In una lite furibonda rivendicherà presso sua madre il suo ruolo di figlia e le dirà cose irripetibili, diventando una iena!
Nel corso del film lascerà il suo fidanzato diciassettenne Luca (Pietro Castellitto) perché privo di ideali e incapace di esprimere qualunque tipo di giudizio, e durante la gita in campagna deciderà di presentare il suo nuovo fidanzato alla famiglia, che altri non è che Armando (Enzo Jannacci), un bellissimo uomo di settant’anni.
L’arrivo del suo nuovo fidanzato può considerarsi un vero e proprio colpo di scena, laddove tutti si aspettano un ragazzo più o meno coetaneo di Rosa e vedono arrivare invece questo distinto ed affascinante signore di settant’anni che ispirerà a tutti un timore reverenziale

Che tipo di relazione intrattiene Rosa con i suoi amici?
Rosa si sente molto più matura dei suoi coetanei, tanto che finirà per lasciare Luca in favore di Armando, insultando il addirittura primo durante una lite furibonda a casa sua, durante la quale lo accuserà di essere incapace di formulare un giudizio, di argomentare un discorso. Alla fine del film lui la ritrova in questa casa in campagna, e si dimostrerà un ragazzo che ha fatto un suo percorso evolutivo e di maturazione, e riuscirà in qualche modo a riconquistarla, anche se non si sa se del tutto o in parte.
Francipalla, invece, è una ragazza simpaticissima, esuberante e piena di vita, e sarà presente anche lei in questo weekend in campagna assieme al suo ragazzo, Niccolò, dando origine ad un divertente malinteso, in quanto i genitori di Rosa sono convinti che il suo fantomatico fidanzato sia appunto Niccolò.
Anche Aldo è in qualche modo in contrasto con i genitori, tanto che si presenta al casale in moto accompagnato da un enorme pitone arrotolato sul braccio: durante tutto il film Aldo interagisce in maniera quasi morbosa con questo pitone, al solo scopo di provocare sua madre Raimonda (Emanuela Grimalda), una donna fin troppo presente, pressante e apprensiva, che alla fine causerà persino la scomparsa del serpente, generando una lite furibonda col figlio.

Come è stato lavorare su questo set?
Ho lavorato con due grandissime persone, Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini, e una schiera di professionisti, da Jannacci a Morante a tutti gli altri, e per me lavorare su questo set è stata un’esperienza indimenticabile: questi due mesi sono stati per me una vera e propria scuola di cinema, ho imparato veramente tanto da loro. Sicuramente è stato per me un enorme privilegio quello di lavorare ed essere diretta da un regista che è anche un attore, e che quindi conosce benissimo i meccanismi della recitazione e sa come tirarti fuori le emozioni che in quel momento il tuo personaggio deve esprimere.
Ricordo che ero talmente emozionata prima di trasferirmi in toscana per le riprese, che addirittura mi ammalai, iniziando a lavorare con la febbre a 39°!
All’inizio Sergio con me era molto duro, ogni sera tornavo in albergo piena di dubbi sul mio lavoro, sulla giornata, con un conseguente carico di sofferenza, poi però ho capito che la sua durezza era in realtà funzionale alle scene che avevamo assieme, che erano tutte scene di litigio, di scontro tra Rosa e suo padre.


Emanuela Grimalda (Raimonda)
Chi è il tuo personaggio?
Prima di parlare del personaggio, bisogna innanzitutto distinguermi dalla tappezzeria, cosa non facile: prima cosa distinguere l’attrice dal motivo decorativo, perché spesso sono sovrapposti. Io interpreto Raimonda, che è una preside, una signora allegramente disperata, così come altri personaggi che popolano il film; una donna che mangia spesso. Sono la moglie di Gianfelice Imparato, ho un meraviglioso figlio, un giocatore di rugby, e naturalmente sono orgogliosa di aver prodotto un ragazzo di tale forza e bellezza… e non si capisce, guardando me e Gianfelice, da dove sia venuta fuori questa creatura. E c’è anche un serpente, un pitone, che ha un ruolo molto importante nel nostro ménage familiare, ma anche all’interno del film.

Dov’è il tragicomico nel tuo personaggio?
Il lato tragicomico di Raimonda è la sua stessa esistenza! È la sua frustrazione: sono tutti dei personaggi molto frustrati, e nel mio caso si tratta di una frustrazione di tipo sessuale, direi, perché c’è questa effettiva problematica col marito, da cui scaturisce anche questa voracità mangereccia. Il lato tragicomico è nel contrasto tra questa donna prorompente, anche fisicamente, così grande, enorme, e la sua frustrazione e la sua disperazione, covate, che provocano dei picchi e delle crisi.

Che tipo di lavoro hai fatto sul tuo personaggio?
Io vengo dal teatro. L’ho praticato, studiato, e credo di conoscere molto più il teatro che il cinema, che per me è questa meravigliosa giostra di cui conosco alcune cose mentre altre mi sono misteriose, ma in ogni caso per me la differenza è molto sottile: le prove, il lavoro in gruppo, i piani-sequenza sono cose in qualche modo vicine al teatro, e che dunque mi appartengono e che affronto con serenità, non mi creano difficoltà. Anzi, avendo un viso che è una specie di macchina forse mi interessa di più sul primo piano, sulla mimica, sul togliere, che è prerogativa propria del cinema.

Com’è stato lavorare con Sergio Castellitto, che è un regista, ma anche un attore?
Conoscevo Sergio dal punto di vista artistico, avendo visto i suoi film sia come attore che come regista, ma non avevamo mai lavorato assieme. Beh, lavorare con lui è fantastico – e non potrei dire diversamente. Il fatto di essere al contempo regista ed attore è un immenso vantaggio per noi, ma credo una gran fatica per lui.
Ovviamente è uno che capisce le dinamiche dell’attore, i meccanismi, il calo di energia, e per questo può aiutarti ad affrontare il personaggio con la giusta prospettiva.


Lidia Vitale (Delfina)
Parlami un po’ di Delfina
Delfina? (ride, canticchiando): un’altra come te… Beh, Delfina non è Lidia, anche perché è molto più vecchia di lei – o meglio, forse è più elegante dire che è più avanti con gli anni…- in ogni caso è più grande di Lidia, ha già i capelli bianchi.
Delfina è un po’ una biscia, è una donna molto arrabbiata, che ha un enorme bisogno di sentirsi accettata e fa di tutto per non esserlo. È la moglie di Duccio, fa parte di una delle coppie che va a passare il weekend dei morti a casa di Marcello e Marina. La prima cosa che mi ha detto Sergio, dopo avermi affidato la parte, è stata: «io vorrei che voi entraste nella casa in campagna ed iniziaste ad odiarvi tutti». Questo è stato il primo input che mi ha dato Sergio, e mi è piaciuto molto, ci ho tenuto molto a seguirlo, perché credo che lì risieda la chiave del mio personaggio… anche se poi invece ho adorato tutti, è stato un cast meraviglioso.

Il tuo è un personaggio dichiaratamente comico?
Non so se Delfina alla fine sia un personaggio comico, e questo è un po’ l’interrogativo che mi pongo sempre: «ma io farò mai ridere?», e davvero la question mark della mia vita, quindi non so risponderti… a me faceva tanta tenerezza, questo sì, perché la vedevo proprio costretta, da se stessa, ad essere così stronza, e forse è questo che fa ridere. Non so nemmeno se è tragica, so che ho fatto un percorso per costruire Delfina, ma poi il risultato sullo schermo non lo conosco, e sono davvero molto curiosa di vedere che ho fatto.

Cosa ti è rimasto di questa esperienza sul set de LA BELLEZZA DEL SOMARO?
Sicuramente il lato corale del film è la cosa più interessante, nel senso che tutti sono ugualmente importanti ai fini del risultato, tutti servono agli altri, nel senso che ognuno crea il conflitto con l’altro, e tutti collaborano strettamente alla buona riuscita del progetto, e questa è una bella sensazione oltre che una sfida. È una sfida con se stessi, sui propri bisogni di attenzione come attori, sul lavoro sul proprio io, laddove un’impostazione così corale ti impone di mantenere uno sguardo e un’attenzione sul tutto, non solo su se stessi. Ogni singolo elemento del progetto partecipa, ed è responsabile, della buona riuscita del progetto stesso, per cui sei chiamato a mettere da parte i tuoi particolarismi in favore del tutto. E questo è bello, ma anche molto difficile, in quanto se per caso in un determinato momento non ti senti in armonia con il tuo lavoro, la magia si perde e si blocca tutto. E devo ammettere che in questo film la magia si è avverata quasi sempre, ed è stata un’esperienza importante quella di partecipare in maniera così “teatrale” ad un film.
E poi lavorare con Sergio è un po’ lavorare con Margaret, nel senso che sono un grande esempio artistico, e la loro professionalità è per tutti grande motivo di ispirazione, perché danno entrambi un enorme contributo artistico al progetto che seguono.
Come regista Sergio è fantastico, perché è anche un attore, e quindi conosce i difetti, le crisi, gli incagli degli attori, anche se come attore ha un metodo di lavoro diversissimo dal mio, ed io che per esempio non sono abituata a guardare in faccia il regista quando mi da delle indicazioni, con Sergio ero costretta, perché lui “ti fa la scena”: normalmente è una cosa che odio, perché di solito il regista è un incapace, non è in grado di mettere in scena quello che vuole, col risultato di confondere le idee e basta, quindi quando mi capita, taglio la testa al toro ed evito di guardare, limitandomi ad ascoltare i suoi suggerimenti; con Sergio, invece, ho dovuto rivoluzionare questo atteggiamento, perché è talmente bravo come attore che riusciva a trasmettermi il senso di una scena direttamente dalla sua pancia: oddìo, in effetti, di fatto non lo guardavo, facevo finta di guardarlo, ma in qualche modo lo guardavo ad un altro livello, che è un livello attoriale, e che è frutto della capacità di far passare, di trasmettere l’intenzione, l’azione, il personaggio. E Sergio era in grado, da attore, di creare questo scambio.


Renato Marchetti (Ettore Maria)
Chi è il tuo personaggio?
Ettore Maria è un aspirante suicida, un personaggio esilarante, ossessionato dalla morte, che è in cura da Marina (Laura Morante), la sua psicologa. Veste sempre di nero, e guarda ripetutamente il film di Bergman Il settimo sigillo.
Marina, che ha in cura sia lui che Lory (Barbora Bobulova), decide di portarli con sé durante questo ponte dei morti nella sua casa in campagna, assieme alla sua famiglia e ai suoi amici, perché è preoccupata.
Ettore Maria è esilarante perché così cupo, tutto nerovestito, con la falce in mano che cita frasi dal film di Bergman: è un personaggio che in qualche modo venera la morte, forse proprio per paura di essa… è ossessionato dalla morte, la idolatra, la coccola, ma è indissolubilmente attaccato alla vita! Non è un caso che la mattina appena sveglio, mentre tutti fanno colazione con il canonico pane burro e marmellata, lui beva un bel bicchiere di pipì per depurare il suo organismo. È un po’ una mina vagante, un personaggio di rottura: con lui, da un momento all’altro può succedere qualsiasi cosa. Ed è un personaggio strepitoso, ha un grande lato tragicomico, come di tutti i personaggi tipici della commedia all’italiana.

Com’ è lavorare sul set con Sergio Castellitto?
Sergio ha un approccio al suo lavoro come regista che è assolutamente teatrale, pieno di piani sequenza, e dirigere una quindicina di attori non è certo una cosa semplice, pertanto alla fine stava all’attore cercare la macchina, andarle incontro, avere cura che lo seguisse e che lo inquadrasse, come si fa in teatro con l’attenzione del pubblico: inoltre noi attori recitavamo a figura intera, come si fa in teatro, trovandoci a dover rispettare una serie di regole – i tempi, le battute, le entrate, le uscite – tipiche del palcoscenico. Si è trattato, per me, di un mese e mezzo intensissimo, un’esperienza formativa strepitosa, una scuola fantastica.
Avevo già lavorato con Sergio in precedenza, diverse volte, e lui è un regista strepitoso: molto esigente, ma anche molto attento, ti dice esattamente cosa si aspetta da te, quello che devi fare e come lo devi fare, ma al contempo lascia grande spazio all’interpretazione, alla personalizzazione.
Per quanto riguarda Renato Maria, prima che iniziassimo le riprese mi aveva solo consigliato di imparare qualche frase tratta da alcuni film (Bergman, ma anche Buster Keaton) ed io, conoscendo la sua grande capacità e la sua grande sensibilità, ho cercato di fare meno danni possibile, nel senso che a quel punto ho guardato un paio di cassette di Keaton, ma così, con lo stesso spirito col quale dal dentista si sfoglia una rivista prima di entrare, anche perché non volevo fissarmi niente, né la sua fisicità, né la sua gestualità, proprio perché sapevo che Sergio, al momento opportuno, mi avrebbe dato il giusto input! E poi il copione era scritto in maniera talmente stupefacente, nelle battute, nella coralità, che l’unica cosa che potevi fare era aspettare!


Lola Ponce (Gladys)
Chi è il tuo personaggio?
In questo film interpreto Gladys, una giovanissima architetto romana, e mi sono innamorata subito del personaggio: il mio agente infatti mi ha detto: «Lola, stanno cercando un’attrice per la parte di una ragazza giovane, carina e matta come un cavallo», al che ho subito risposto: «perfetto! Sono io!», e mi sono divertita tantissimo nell’interpretarla, perché Gladys è un personaggio carico di sfumature: è giovane, è una donna creativa, anche per via del suo lavoro, lavora con Marcello, facendolo diventare pazzo ogni minuto, e con lui condivide anche una relazione. È anche un personaggio molto sensuale, e mi ha interessato molto interpretarlo.
La sua entrata in scena porta con sé ovviamente tutti i problemi correlati alla sua condizione di amante, anche perché poi Gladys tenterà di fargliela pagare a Marcello. È una donna passionale, è perdutamente innamorata di lui, e lo esprime per tutto il tempo. Uno degli aspetti più positivi e divertenti del mio personaggio è che ne inventa di tutti i colori per richiamare l’attenzione di Marcello: urla dalle finestre, lo segue (e perseguita) vestita solo con la lingerie… è una donna perdutamente innamorata e senza scrupoli. Di contro, ha sicuramente un lato tragico molto forte, in quanto soffre per il fatto di essere innamorata di un uomo già impegnato.

Com’è stato lavorare su questo set?
È stata un’esperienza meravigliosa, anche perché i miei compagni di lavoro sono stati tutti quanti stupendi, abbiamo girato in un posto meraviglioso, a S. Casciano dei Bagni in Toscana, dove c’erano anche le terme: tutto sembrava vero, e in tutto ciò c’ero io che guidavo questa spider come una matta in giro per la città… mi sono decisamente divertita!
Inoltre recitare nei momenti a due con Sergio è stato per me un onore, ed anche un’esperienza lavorativa molto forte: a volte mi bloccavo a guardare come riusciva a gestire mille aspetti diversi del film – la produzione, la regia, la recitazione –, sempre mantenendo e comunicando una grande energia: ho apprezzato tantissimo la possibilità di vedere il lavoro da fuori, trovando ovunque attorno a me tanta professionalità e tanto mestiere.

Com’è stato lavorare con Sergio Castellitto?
Sergio, come tutti i grandi, racchiude in sé una grande professionalità unita all’umiltà, alla bontà, al talento, alla generosità, ed è stato davvero interessante vederlo passare repentinamente dal suo ruolo di attore a quello di regista, mantenendo comunque l’occhio del produttore. Devo dire che per un’artista il vero divertimento sta proprio nel cambiamento continuo. È stata un’esperienza unica e indimenticabile, anche perché in qualunque produzione artistica, quello che poi arriva al pubblico è anche il lavoro di backstage, l’energia che si sprigiona “dietro le quinte”. Qui tutti sono stati fantastici, i tecnici, i macchinisti, i fonici, tutti ci siamo divertiti moltissimo, e questo spero che arrivi al pubblico in sala, e che si diverta anche lui.


Erika Blanc (Venanzia)
Chi è il tuo personaggio?
Il mio personaggio è Venanzia, la madre di Marina (Laura Morante): una donna ironica, che a volte gioisce vedendo il grottesco – e ce n’è di grottesco sotto le righe di questo film! È una donna animata al contempo da saggezza e pazzia, che credo sia un po’ la caratteristica delle donne della mia età, quelle nate nel dopoguerra, o anche un po’ prima, che sono state bambine che si sono forgiate, che hanno lottato, che hanno vissuto il bello e il brutto. È una madre ironica, attenta, abbastanza intelligente e soprattutto con una grande esperienza, che capisce che la vita va vissuta bene, con allegria, che ha una sua filosofia ed è una filosofia abbastanza saggia, superiore; è giovane, soprattutto, giovane di spirito, al contrario della figlia che è già vecchia e senza speranza, a meno che non riesca ad apprezzare quanto c’è di infantile dentro ogni persona. Questo personaggio mi è piaciuto molto, ovviamente, e sono stata felicissima di partecipare a questo film, anche perchè è un film corale, dove ciascun attore è grande.
Il mio è un piccolo ruolo, come altri nel film, ma spero rimanga impresso… io ce l’ho messa tutta, ho addirittura messo il mio cane, Mara, perché naturalmente mi aiuta nell’essere ricordata, e mi ruba persino le scene. Quando mi hanno chiesto se avessi avuto problemi a recitare con un cane, ho risposto che se volevano avrei potuto portare uno dei miei, ma solo ora mi accorgo del grave errore che ho fatto: in questo film Mara, il mio cane nonché futura diva, mi ha rubato tutte le inquadrature, togliendo forza al mio personaggio – e dando però forza a me!!

Com’è stato lavorare con Sergio?
Sono così felice di essere riuscita a lavorare con Sergio Castellitto, e anche – e soprattutto – con Margaret Mazzantini, autrice di una sceneggiatura eccezionale. Loro sono due grandi, non so dove vogliano arrivare, io nei loro panni sarei contenta già così, ma sai, due geni in qualche modo si attraggono, e chissà cos’altro verrà fuori negli anni futuri. Castellitto è un grandissimo attore, ed è anche un grande regista; credo di non aver mai lavorato con un attore-regista, ed ho trovato che lui sia molto generoso, molto sensibile, e pur avendo tanti attori intorno da seguire, si è sempre preoccupato per me: credo di essere stata la più vaga della compagnia, ed è stata una compagnia specialissima, non so come siano stati capaci di riunite tante persone meravigliose, davvero, che verosimilmente non dimenticherò mai. Probabilmente tutti noi credevamo in questa operazione, ci siamo venuti con umiltà, ma con una grande voglia di far funzionare le cose.
Attendo con ansia l’uscita di questo film meraviglioso!

Cosa ti ha colpito del film?
Questo film fa capire quanto noi, della nostra generazione, siamo diversi, più forti,
forse perché abbiamo mantenuto un lato infantile: non siamo cresciuti nell’oro com i nostri figli, ma abbiamo dovuto conquistarci a fatica ogni cosa, “lottando” contro i nostri genitori, abbiamo sofferto con loro e quanto loro per uscire dalla crisi, dal dopoguerra, che è stata lunga e faticosa, però sapevamo adeguarci, sapevamo accontentarci, e forse questo ci ha dato, e ci dà tuttora, la forza di vedere il lato buono della nostra vita. Qualunque esso sia. È per questo che noi – e parlo di me, di Jannacci – siamo ancora bambini, e ne siamo fieri.


Svetlana Kevral (Cornelia)
Chi è Cornelia?
Cornelia è un personaggio particolare… ma forse non molto di più degli altri di questo film. E’ una domestica, ma si comporta come fosse la padrona di casa poiché è lei che gestisce tutto e si sente investita del comando supremo, persino sui padroni di casa. In realtà è un ingegnere, una donna colta. Sa come gestire cose e situazioni e lo fa con serietà e durezza. Cornelia è una che tira dritto nel suo lavoro e ogni tanto si inserisce nelle dinamiche familiari stando ben attenta a non farsi coinvolgere nei problemi degli altri.
È una vecchia comunista a cui piace l’ordine, la precisione; può apparire dura, ma sembra essere l’unica a sapere cosa si deve fare e dove andare, in mezzo ad una serie di personaggi “alla deriva”, almeno dal punto di vista esistenziale. È un personaggio che lascia i sentimenti da parte, almeno fino ad un certo punto, perché poi la crisi arriva anche per Cornelia: è normale, se uno è costretto dalla vita a fare un percorso che non è il proprio, impegnandosi per senso del dovere più che per naturale inclinazione e disposizione, arriva prima o poi un momento in cui crolla tutto, esplode ed esce fuori qualcosa di diverso, i veri sentimenti. Drammaturgicamente Cornelia è anche l’occhio esterno sulla situazione che gravita attorno alla famiglia Sinibaldi, che è un po’ l’emblema della crisi tipica dei nostri tempi, della fragilità dei rapporti, della solitudine di ciascun individuo che va per la sua strada senza sapere se è quella giusta o meno. Cornelia è una che sa stare al posto suo, ma ogni tanto si sente in dovere di intervenire nella vita familiare per aiutare a sistemare le cose.

Come ti sei trovata a lavorare su questo set?
Il film è abbastanza corale, mi ricorda un po’ Cechov, laddove ogni personaggio ha una sua storia, un suo dolore, una sua problematica: anche qui l’approccio è corale, il film suona come un’orchestra, e in tutto questo Cornelia è l’elemento esterno, l’occhio che guarda alla vicenda; emblematica è la sua battuta che dice: «qua ci sono troppi scemi, e ci sono troppi piatti!». L’unica persona che ai suoi occhi è esterna a tutto questo caos è Armando (Enzo Jannacci), che è il fidanzato di Rosa (Nina Torresi), la piccola di casa. Armando è un uomo di età avanzata che Cornelia chiama “Presidente”, dando al termine un’accezione di forza, potenza, autorevolezza, carisma. Lui è per Cornelia un esempio, uno che in un paese socialista rappresenterebbe la nazione in quanto naturalmente onesto, saggio, uno che guida, una figura ideale, e dunque la prima impressione che ha Cornelia di quest’uomo è quella di uno che dovrebbe essere presidente. Nella scena in cui Armando arriva per la prima volta a casa si vede subito che è un personaggio diverso dagli altri. E’ pacifico, saggio, una bella persona: infatti un po’ mi ha sconvolto, e non ho avuto tanti dubbi, mi è venuto spontaneo dire di lui che è il presidente, perché è una persona praticamente ideale. Cornelia è una che stuzzica il presunto padrone di casa, che è Marcello (Sergio Castellitto) e che dovrebbe avere un ruolo autoritario che non ha, né con la moglie né con la figlia, e che mantiene forse solo con i suoi amici maschi, pertanto ai suoi occhi è un uomo impotente, incapace di affrontare certe situazioni; e infatti Cornelia si diverte a stuzzicarlo, con battute e frecciatine che hanno però anche l’intenzione di sottolineare la situazione in cui si trova per spronarlo al cambiamento.

E lavorare con Sergio?
Non conoscevo Sergio personalmente ma avevo visto i suoi film e mi erano piaciuti tantissimo; poi un giorno mi è capitato di vedere una sua intervista, circa sei mesi prima di iniziare le riprese del film, e mi sono detta che sarebbe stato interessante lavorare con lui perché mi piaceva il suo modo di pensare e di vedere le cose. In seguito sono stata contattata per lavorare con lui, e sono stata felicissima di contribuire al suo lavoro di regista, che di certo non è meno importante del suo lavoro di attore: addirittura penso che per essere un buon regista e dare i giusti consigli, le giuste indicazioni, sia importante che questi conosca bene il lavoro di un attore, che veda le cose anche dal suo punto di vista. A volte capitava che arrivassi sul set con qualche idea su come girare una determinata scena, ma prima che potessi aprire bocca Sergio veniva da me con delle indicazioni e delle idee che erano esattamente quelle che avevo pensato anche io!
E questo perché, dopo un iniziale momento di diffidenza – una sorta di pausa per capire cosa un regista vuole da te, dal tuo lavoro, cosa si aspetta che tu faccia – si arriva ad un livello tale di comprensione e sintonia che tutto diventa naturale. C’è un momento del film in cui il mio personaggio cambia completamente atteggiamento, diventa un’altra persona rispetto a come l’abbiamo vista fino a quel momento: sul copione la scena prevede che lei ad un certo punto si allontani per fumare da sola, ed io avevo immaginato un contesto di nostalgia, di tristezza… arriva Sergio e mi dà una serie di indicazioni che alludevano ad una scena completamente diversa da come me l’ero immaginata, ed ho dovuto modificare completamente l’impostazione della scena in pochissimo tempo. Lì ho capito che dovevo arrivare sul set come se fossi una pagina vuota, per esser pronta a ricevere tutte le indicazioni da lui, per cui alla fine sulla base che avevo costruito per il mio personaggio andavo a sovrapporre le sue indicazioni e le sue suggestioni, ed alla fine il personaggio è cresciuto da sé.
Quando sono arrivata sul set avevo una vaga idea di come sarebbe stato il personaggio di Cornelia, ma poi durante le riprese l’idea iniziale è andata modificandosi sostanzialmente: mi sono affidata a Sergio, cercando di capire cosa volesse da me, anche perché era evidente che nella sua testa lui avesse tutto il film già girato! Io ho dovuto quindi carpire da lui cosa avesse già in mente, cercando di capire quale dovesse essere lo stile, quale l’atmosfera, lo spessore del film, in modo da inserire il mio personaggio in maniera fluida ed omogenea. All’inizio non è stato facile, mi facevo tante domande, e tante ne facevo anche a lui, avevo tante idee sul mio personaggio, che evidentemente non erano in linea con la sceneggiatura ideale di Sergio, e infatti ad un certo punto mi sono detta: «basta, ora mi lascio andare, arrivo sul set “pulita” e mi lascio guidare da Sergio cercando di interiorizzare tutti i suoi suggerimenti e direzioni».
Non è stato un lavoro facile, anche se non ho una grande esperienza nel cinema – ma credo non sia stato facile nemmeno per i miei colleghi più esperti – perché essendo un film corale, eravamo un po’ tutti protagonisti, e la macchina da presa con una pennellata doveva cogliere tutto il senso del film, tutte le storie, ed eri tu a dover seguire la camera, e non il contrario: a te era il compito di raccontare, in quel preciso momento, in quell’istante, la storia del tuo personaggio, la sua verità. È stata in ogni caso un’esperienza molto interessante. Quando ho visto le immagini sul monitor ho trovato tutto bellissimo, mi ha subito ricordato Cechov, il suo senso tragico nella commedia… e credo di aver capito lo stile, lo spessore che mi mancava, i colori e le sfumature che erano già presenti nel film che era nella testa di Sergio.

E l’aspetto corale del film?
Il cast era ottimo, sia in scena che dietro le quinte: era composto da persone stupende, tutti attori bravissimi, e subito ci siamo trovati molto bene, abbiamo lavorato e collaborato assieme, e questo, soprattutto per un film corale, è un elemento importante.
Questo film è secondo me una grande orchestra sullo stile di un Cechov all’italiana, dove la tragedia di ciascun personaggio si sente sotto la superficie da commedia, e tutti suonano assieme per creare una grande sinfonia, e mentre ciascuno suona la propria partitura, la macchina passa e riprende, e tu devi suonare proprio in quel momento il tuo assolo. E non è facile tenere d’occhio la macchina da presa ed essere in grado di trasmettere quel determinato sentimento, quella emozione, proprio al momento giusto, non un secondo prima né un secondo dopo.
Non è facile, ma quando poi un lavoro è bello, e ben fatto, e sul monitor vedi quest’orchestra che suona, armoniosa, tutto questo ti aiuta a entrare nel mood giusto e a lavorare bene, e ti dici: «ok, voglio suonare anche io in quest’orchestra, e dare il mio contributo alla sinfonia!». È una sorta di Cechov contemporaneo. È difficile trovare registi con i quali lavorare sulle cose più sottili, nel senso che ogni personaggio ha una battuta che non è finita, ed ogni battuta è un concetto, contiene in sé una sua filosofia, non c’è alcuna battuta che vada a vuoto: è interessante vedere come il senso del film sia dato dalle immagini, dalle parole e dalla riflessione che ogni battuta genera. Tutte le battute sembrano buttate lì così, e invece ognuna ha un senso profondo. Questa cosa mi piace molto: lavorare sulle parole, mettere insieme due battute e scoprire che dietro di esse si apre un mondo, e spero che questa cosa si percepisca.
Spesso succede che tra attori nasca la competizione, invece su questo set non è accaduto, nonostante fossimo in tanti e tutti in qualche modo con un ruolo “protagonista”: non c’è stato protagonismo, egoismo, competizione personale, ma la contrario armonia, coralità, come nel teatro… io lavoro soprattutto in teatro, e l’atmosfera di gruppo mi piace molto, è quello che cerco. In più, oltre al cast artistico, secondo me Sergio ha avuto un ottimo cast tecnico, tutti professionisti e ottime persone anche dal punto di vista umano: sul set si respirava un’aria di collaborazione, un clima disteso e cordiale. Tutti i tecnici sono stati fantastici! Senza il loro contributo sarebbe stato davvero molto più complicato. Che dire? Sono entusiasta di questo lavoro e di questo set!
Sicuramente è stato un lavoro duro, perché per due mesi ci siamo svegliati molto presto, alle 5 o alle 6 di mattina, in balia del clima impazzito, con la neve, la pioggia, il freddo, il caldo, ma sempre tutto in un ambiente di grande collaborazione. Sono contenta di aver fatto questo film, e ringrazio tutti quanti perché tutti quanti hanno fatto un ottimo lavoro. E spero che questo si veda sullo schermo.

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