Pietro di Daniele Gaglianone

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locandina Pietro
 
Regista: Daniele Gaglianone
Titolo originale: Pietro
Durata: 92'
Genere: Drammatico
Nazione: Italia
Rapporto:

Anno: 2010
Uscita prevista: 20 Agosto 2010 (cinema)

Attori: Pietro Casella, Francesco Lattarulo, Fabrizio Nicastro
Soggetto: Daniele Gaglianone
Sceneggiatura: Daniele Gaglianone

Trama, Giudizi ed Opinioni per Pietro (clic qui)...In questa pagina non c'è nemmeno la trama per non fare spoiler in nessun caso.
 
Fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Enrico Giovannone
Musiche: Evandro Fornasier, Walter Magri, Mario Actis, Plus
Scenografia: Lina Fucà
Costumi: Lina Fucà

Produttore: Enrico Giovannone, Andrea Parena, Gianluca Arcopinto, Emanuele Nespeca
Produzione: Babydoc Film, La Fabbrichetta
Distribuzione: Lucky Red

La recensione di Dr. Film. di Pietro
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Colonna sonora / Soundtrack di Pietro
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Informazioni e curiosità su Pietro

Girato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.

“Dall’idea di Pietro a Pietro”
di Andrea Parena

La storia produttiva di Pietro, quando noi della BabyDoc Film ne siamo entrati a far parte, era già cominciata, almeno idealmente. Daniele Gaglianone aveva pronta una prima sceneggiatura, scritta nel 2007, e ne aveva parlato con Gianluca Arcopinto. L’idea di realizzare un nuovo film di finzione di Daniele, quindi, era concreta, ma sospesa, perché in quel momento tutte le attenzioni erano rivolte al documentario Rata Nece Biti.

Per quanto mi riguarda, la storia della realizzazione di Pietro inizia con un’immagine sfocata. Il sonoro è un’eco indistinta che, ad un certo punto, ha cominciato a rimbalzare tra le mura di BabyDoc. Eravamo tra la primavera e l’estate del 2008. Si lavorava intensamente al montaggio di Rata Nece Biti, ma ogni tanto poche parole o uno scambio di battute tra Daniele ed Enrico Giovannone, seduti alla postazione di montaggio, alludevano a questo nuovo soggetto. Emergevano elementi, brandelli di un’altra storia che cercava un fuoco.

Io non ricordo quando ho letto la prima versione della sceneggiatura. Le nostre teste erano ancora troppo immerse nell’avventura bosniaca per leggere lucidamente ciò che avevamo davanti agli occhi. Però ricordo benissimo la sera in cui tutta questa vicenda ha cominciato, almeno per me, ad assumere i contorni della realtà, il momento in cui le ombre vaghe sono diventate un’immagine a colori, con dei contorni, seppure completamente sfocata.

La sera era strana, una riunione casalinga dopo-cinema. Il film che abbiamo visto era nientemeno che Le straordinarie avventure di Mr. West nel Paese dei bolscevichi. Un film comico muto del noto regista sovietico Lev Kulesov, del 1924, musicato dal vivo. Il film racconta in chiave burlesca le disavventure di un cowboy catapultato dal West nella Mosca sovietica. Questa è la prima suggestione “politica” che fa da sfondo alla nascita di Pietro. La seconda è che la sera era il 5 novembre 2008, poche ore dopo l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti.

Forse è stata anche quest’aria di speranza e cambiamento planetario, il soffio di un nuovo corso che avrebbe spazzato via le nostre angosce, che ci ha spinto a riunirci (io, Enrico Giovannone e Francesca Frigo di BabyDoc insieme a Daniele Gaglianone), dopo il cinema bolscevico, per parlare sul serio del film. Lì abbiamo pensato che Pietro si poteva fare veramente, che si poteva far diventare l’immagine a fuoco. Era l’idea di un film sull’Italia che ci circondava, su una società sempre più crudele. Una parabola nera che restituisse la sensazione di solitudine che si prova ad essere disarmati, in un campo dove l’unica legge valida è quella del “tutti contro tutti”. Pietro cominciava a delinearsi, quella sera: Pietro era questa creatura disarmata.

Non è stato facile capire subito cosa Daniele volesse raccontare: ogni tanto però riconoscevamo Pietro per strada, nelle colonne dei giornali, in noi stessi, e tutto diventava più chiaro. Questa sensazione si rispecchia perfettamente nel film, che adesso vediamo finito. Pietro è un film scuro, ma è tutt’altro che oscuro. E’ una presa di posizione netta e chiara e parla apertamente del mondo che ci sta davanti. Questa visione così definita, così “a fuoco”, è stata l’elemento fondamentale che ha reso possibile credere di fare veramente il film.

Un’altra tappa importante è stata una riunione con Arcopinto in un bar a Torino, durante una pausa di lavoro di Gianluca, che si trovava in città per un altro film. Alla riunione c’era anche Ernaldo Data, che poi avrebbe partecipato alla produzione. Quella riunione era fondamentale perché era l’occasione di parlare con Gianluca Arcopinto, dal momento che senza di lui non saremmo andati da nessuna parte. Parlammo della fattibilità del film, di ciò che ognuno poteva mettere in campo in termini di mezzi e lavoro, stilammo una prima lista di figure da coinvolgere. Alla fine della riunione la sensazione fu quella di una macchina che si era messa in moto.

Da quel momento Daniele ha lavorato molto alla sceneggiatura, che è cambiata completamente. Era necessario precisare questa storia scura, suonare soltanto “le note necessarie”, renderla lo specchio della visione lucida che stava alla base. Pietro, storia di una società fatta di relazioni nette e impietose, forse fotografia di un momento storico, cronaca di un mutamento verso il peggio, è stato fin dall’inizio un film politico. Daniele era determinato a farlo. Se poi fosse stato fatto nel modo che avevamo in mente, con una struttura produttiva piccola e nuova al cinema di finzione, forse la sua forza sarebbe aumentata. Proprio perché era un film difficile, non allineato, doveva vivere della sua anomalia ed essere fatto nonostante l’industria del cinema funzioni in un altro modo. Anzi proprio per questo.

Per noi era l’occasione di lavorare su un film di finzione, che sentivamo vicino e che arrivava nel momento stesso in cui cominciava a fiorire la bella avventura di Rata Nece Biti. Quello che è successo nei mesi successivi, tra l’inverno del 2008 e la primavera 2009, cioè la vittoria del documentario al Torino Film Festival e poi la conquista del David di Donatello, hanno dato una botta di fiducia. Probabilmente quella che ha permesso di mettere a punto la squadra, nei vari reparti, che avrebbe fatto il film. Era una sfida, un’avventura nuova per noi ma anche per chi aveva molta più esperienza di noi nel cinema di finzione. Un certo clima di eccitazione intorno al progetto, il forte desiderio di molte persone coinvolte di lavorare con Daniele Gaglianone, la fiducia riposta in lui, erano il collante che teneva insieme un gruppo pronto a partire.

Per impegni importanti di Daniele sarebbe risultato molto difficile girare il film se avessimo superato novembre (2009). Forse avremmo ancora avuto una possibilità nei primi mesi dell’anno nuovo, ma era meglio non correre rischi. Così la pensava anche Gianluca Arcopinto, che ha dato la disponibilità e la spinta definitiva perché fossimo nelle condizioni di girare tra ottobre e novembre. Negli ultimi mesi le cose sono andate molto velocemente, tanto che fino alla fine si è dovuto ragionare intensamente sulle questioni di linguaggio e sulle questioni tecniche, a cominciare dal decidere finalmente con quale mezzo girare.

L’idea di partenza, da un punto di vista produttivo, era quella di un film veramente radicale, da realizzare con i mezzi che normalmente si usano per i documentari. La ristrettezza dei mezzi, però, doveva essere “spinta” a estreme conseguenze, a scelte di stile e di linguaggio in un certo senso anti-cinematografiche, o diversamente cinematografiche. Per esempio c’è stato un momento in cui, parlando con Daniele su come impostare il film, pensavamo, come suggestione, a film girati in video, tipo Medea di Lars Von Trier.

Questi discorsi creavano accese discussioni anche tra me, Enrico e Francesca, cioè BabyDoc Film. C’era chi pensava che rinunciare ad un lavoro accurato, cinematografico, per esempio nelle scelte di fotografia, avrebbe impoverito il film. Chi, dall’altra parte, sosteneva che proprio quella povertà sarebbe stata la sua forza, che, fregandosene completamente di come un film “andrebbe fatto”, e portando all’estremo gli aspetti da “cinema diretto”, sarebbe nato, con quella sceneggiatura, un oggetto assolutamente inedito sulla scena del cinema italiano. Più, però, si avvicinava il momento di girare, più ci si rendeva conto che sarebbe stato importante poterlo fare avendo a disposizione tutta la gamma di possibilità tecniche e fotografiche che un’impostazione cinematografica, seppur a basso costo, poteva permettere.

La soluzione per coniugare la massima resa qualitativa con un budget basso era girare con la cine-camera digitale Red. La spinta finale e risolutiva verso questa scelta l’ha data, giustamente, il direttore della fotografia Gherardo Gossi. Visto il risultato a film finito è stata sicuramente la scelta migliore. Quello che poteva essere un esperimento radicale, in una forma che esasperasse l’urgenza della storia, è diventato un film vero, tecnicamente impeccabile, fotograficamente bellissimo, senza perdere nulla della sua valenza politica, che non sta soltanto nel contenuto del film, in quel “fascismo prossimo venturo” a cui la storia allude, ma nella stessa storia produttiva, che dimostra come si possa realizzare un film con tutte le cure che un lungometraggio di finzione richiede, sul piano della tecnica e del linguaggio, anche con un budget molto basso, se se ne condividono la necessità e l’urgenza. E se l’urgenza del progetto fa sì che attorno ad esso si coaguli un legame di solidarietà che è ciò che permette di gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Se Pietro è la storia di relazioni basate sulla violenza, dentro una società in cui il disprezzo striscia e si insinua sempre più a fondo e l’unico criterio è quello della prova di fora, dove non esiste alcuno spazio per la condivisione, la storia della realizzazione del film è l’esatto opposto. Nelle settimane di preparazione, poi, soprattutto, in quelle delle riprese, ognuno a dato molto di più di quello che era chiamato a dare. Da Gherardo come direttore della fotografia, a chi, magari, si è prestato a fare il runner o l’aiuto elettricista, anche se non erano esattamente i ruoli che gli competevano. Questo è il motivo per cui siamo riusciti a girare Pietro.

Un discorso importante, per quanto riguarda ancora il processo di passaggio dall’idea del film al film, penso che lo meriti il lavoro degli attori. Pietro Casella e Francesco Lattarulo, “nella vita”, compongono un duo comico attivo in teatro e televisione, e avevano già avuto due piccole parti nel film precedente di Daniele, Nemmeno il Destino. Fabrizio Nicastro (Nikiniki) invece era uno dei due protagonisti del film. Pietro, Francesco e Fabrizio vivono nella stessa palazzina, familiarmente detta “la villa”, una sorta di comune metropolitana che, di volta in volta, può trasformarsi in laboratorio teatrale oppure in sala prove musicale, a seconda dell’ispirazione dei suoi abitanti.
Quel luogo è stato fondamentale nella costruzione del film. E’ stato importante nell’ideazione, perché certe situazioni quotidiane, sketch, battute, fino ad una cadenza tipica di una certa periferia torinese e di un certo contesto, sono entrati fin dall’inizio nella costruzione dei personaggi. Poi durante le riprese, per esempio perché il set dell’appartamento di Pietro e Francis è stato ricavato nel vero appartamento di Pietro Casella. Ma soprattutto è stato importante perché lì si è svolto tutto il training fatto dagli attori con Daniele. Tutto questo mentre al piano inferiore, nello studio di Lina Fucà, si preparavano scenografie e costumi del film.
Entrare “in villa” nelle settimane precedenti le riprese, significava vedere davanti agli occhi il film che nasceva. Quello che Daniele aveva in mente rispetto ai caratteri e alla recitazione è stato messo a punto con un lavoro quotidiano insime agli attori per due mesi o più. Nella “villa” i personaggi del film, giorno dopo giorno, prendevano forma, voce e corpo. Sottolineo questo aspetto perché penso che sia stato molto importante nel percorso di realizzazione del film, e non solo per la qualità del film, ma anche, e in modo determinante, sull’ottimizzazione del tempo, che veniva sfruttato al massimo anche quando era poco, per esempio durante le riprese.

Questo lavoro quotidiano, svolto dentro la “villa”, dove i tre protagonisti vivevano insieme anche dopo le prove, dove intanto, in una stanza vicina, venivano preparati i loro costumi, dove Daniele aveva grande familiarità e libero accesso, ha davvero permesso che la vita dei personaggi del film si incrociasse con quella degli attori che li avrebbero interpretati. Quando è stato il momento di girare e gli attori sono arrivati sul set (a cominciare dalla casa di Pietro), tutto è stato molto naturale, i personaggi vivevano sulla scena senza intoppi, la sovrapposizione dei piani era totale.

Il fatto che i personaggi principali, Pietro in particolare, fossero stati concepiti da Daniele, fin dall’inizio, modellandoli sulle caratteristiche degli interpreti e che gli interpreti condividessero uno spazio di vita, ha fatto sì che Nikiniki, Francis e Pietro cominciassero a vivere e ad interagire in quegli spazi ben prima dell’inizio delle riprese. In una serata qualsiasi era facile sentire Francesco imitare Francis o Francis dialogare con Nikiniki. E’ stato un processo di mimesis progressivo, che ha portato, quasi in modo naturale, a passare dall’idea all’incarnazione della storia nel corpo degli attori.

Con loro Daniele ha fatto un lavoro quotidiano, tecnicamente accuratissimo, in una dimensione quasi “comunitaria”, di forte condivisione. E’ un aspetto di solidarietà e complicità che penso possa essere allargato a tutto il gruppo, tecnico ed artistico che ha lavorato a Pietro, e che ha caratterizzato in tutti i momenti la realizzazione del film.


Gianluca Arcopinto a Daniele Gaglianone

Daniele,
ho appena finito di vedere Pietro. Cioè, ho proprio tirato fuori adesso dal computer il disco e sono entrato nella posta e ti sto scrivendo. Di getto. Anche senza punteggiatura. E' un film che ti attanaglia nell' angoscia dal primo all'ultimo minuto. Se questo era l'intento ci sei riuscito completamente. L'ora e venti passa come se fossero cinque minuti e tu stai male e non puoi non pensare ai tuoi figli e al mondo che gli stai offrendo e allora cerchi un motivo, un senso e forse lo trovi in quell'abbraccio muto nel locale in cui tutti ti stanno prendendo in giro. O forse no, paradossalmente, lo trovi in quel bastone che uccide, in quel cuscino che asfissia, in quel coltello che ferisce. O forse no, lo trovi solo in quell'acqua che scroscia, silenziosa e invadente. O in quella sedia vuota a cui ti stai confessando. Milleuno milledue milletre millequattro. Non puoi farti prendere dalla paura del vuoto. Sei un produttore. Devi ragionare. Senza arrivare a millecinque, sennò lui muore.
Sembra facile a dirsi, ma fallo quando le lacrime ti ballano negli occhi, quando l'unico posto dove puoi mettere la mano è tra i capelli, con quello stesso movimento che hai fatto quando sei arrivato a casa tanti anni fa e ti hanno detto che tuo padre era già morto, quando anche la cioccolata che ti sei portato nella stanza, di nascosto da Francesca che continua a dirti che sei un ciccione, per allietare la visione non ti va. Fallo, fai il produttore, se sei capace. Che puoi dire? Che l'attore che fa Pietro è strepitoso. Che forse la musica non serve, al di là di quella che già c'è e dei suoni che tendono a diventare musica. Che Enrico può montare Ruggine. Che Ruggine stanotte mi sembra banale (ma non lo sarà). Che nel paese di Pietro questo film si dovrà comportare proprio come Pietro e che proprio come Pietro vivrà male. Ma Pietro ha scoperto l'amore. E disegna. E noi, noi dobbiamo continuare a fare i nostri disegni. Perché ci piacciono i colori. Perché in fondo siamo orgogliosi di essere Pietro.


Daniele Gaglianone sul film

QUATTRO PAROLE
Rabbia, tenerezza, fragilità, violenza. Sono le quattro parole che emergono quando penso a Pietro, un film nato da diverse congiunture e suggestioni, alcune molto personali. Era un momento difficile, non stavo facendo nulla; e mi dicevano che dovevo essere meno radicale nelle scelte delle storie da raccontare. Così, per risposta, ho scritto l’abbozzo di Pietro: un film duro che nasce da una situazione dura, da persone che conosco, fragili, invisibili, che questa società non vuole vedere. Ma che possono diventare bombe a orologeria, pronte ad esplodere.

RIFERIMENTI ALL’ATTUALITA’
Il film è anche figlio di una riflessione sui tempi che stiamo vivendo, dell’urgenza di dire e fare qualcosa. In questo senso Pietro ha una innegabile dimensione politica. C’è un’assenza totale di riferimenti all’attualità, così come viene intesa in maniera consueta; non c’è una tv accesa, non si vede un manifesto di nessun tipo di propaganda, non si parla né di primi ministri, né di eventi da “prima pagina”. Eppure ritengo che nel film ci siano tutte le ricadute che questa “attualità” può avere sulla realtà delle persone. Non volevo che il film dimostrasse a priori una posizione esplicita e schierata, perché il rischio è quello di proporre uno schema in cui tutto si colloca al suo posto in modo paradossalmente rassicurante.
Per esempio, all’inizio pensavo che la ragazza che inizia a lavorare con Pietro dovesse essere straniera ma sarebbe diventato un film, che in un certo senso, non parla di me ma di qualcun altro, mentre in realtà il primo razzismo vero e assoluto è innanzitutto quello nei confronti dei poveri e degli emarginati (nessuno si sognerebbe di dire al miliardario Aga Khan “arabo di merda”). Volevo che non ci si potesse aggrappare a nulla, volevo che si sentisse, senza possibilità di fuga, che il destino di quella persona potesse essere il mio. Infine ritengo che, utilizzando una definizione di Pasolini, parlare degli “esclusi di razza bianca” sia più drammatico e spiazzante, considerando anche che la condizione di marginalità si sta diffondendo anche a fasce di popolazione che fino a poco fa si sentivano al riparo da qualsiasi intemperie sociale. E’ un storia che prova a riflettere quello che stiamo per diventare - o già siamo.

SOCIETA’ E INDIVIDUO
In una società mors tua vita mea dove impera il darwinismo sociale, in cui l’individualismo regna sovrano e l’unica cosa che conta è il denaro, sia per chi vuole solo arricchirsi sempre più, sia per chi cerca solo di sopravvivere, il senso di comunità sparisce ed il primo a morire è proprio l’individuo e la sua unicità. L’altro non ha più diritto di cittadinanza, non si riconoscono più i legittimi confini di una persona; non si pensa più che ogni individuo è anche un universo umano a sé. Agli occhi degli altri Pietro non è una persona; quando va bene è una marionetta di fronte alla quale non devo nemmeno chiedermi se possa avere o meno un’anima. Ritengo che in sostanza questo sia il fascismo nella sua forma primaria: la negazione dell’altro. Pietro non esiste perché non gli viene riconosciuta la possibilità di avere dei desideri e delle aspirazioni. Esiste solo quando ho voglia di ridere o come forza lavoro da sfruttare.
L’unico modo che Pietro ha per farsi considerare, anche dal fratello, è fare il giullare. Anche se, ribadisco, nel film non si vede una tv accesa nemmeno per sbaglio, Pietro vive in un mondo che è diventato una sorta di platea televisiva. Le persone intorno a lui sono ‘televisive’, nel senso che potrebbero essere il pubblico (entusiasta e feroce) di uno show, di quelli dove la gente diviene protagonista, dove possiam diventare tutti il Fabrizio Corona di turno. Non è un caso che il fratello dica a Pietro come unica frase, se non d’affetto, almeno di stima: “tu dovevi andare in televisione”. E per tutti Pietro è un personaggio da “La Corrida”, da tv spazzatura.
Come rispondere a tutto questo? Come cercare di rivendicare il proprio posto nel mondo? Uno dei problemi che pone il film è che per veder legittimata la propria umanità si può essere costretti a divenire violenti. Penso che Pietro reagisca in un certo modo forse per poter avere solo il diritto di raccontare qualcosa di sé che nessuno vuol né ascoltare né conoscere. Sono fragile, semplice, gentile e perché non c’è posto per me? e per dire questo sono costretto a dimenticarmi della tenerezza e affidarmi alla rabbia.

ATTORI
Mi hanno chiesto se erano presi dalla strada… appena si vedono delle facce sconosciute si apre subito questo discorso. Pietro Casella Francesco Lattarulo e Fabrizio NIcastro invece sono attori veri, forse così bravi da far pensare che siano così anche nella vita. Loro fanno un teatro surreale e del cabaret da molto tempo ed hanno un gruppo che si chiama “Senso d’oppio”. Io li conosco da anni, da quando Fabrizio partecipò al mio secondo lungometraggio Nemmeno il destino dove interpretava Ferdi, uno dei due protagonisti del film. La loro presenza è stato un altro stimolo importante per realizzare il film. Siamo amici e avevamo voglia di fare qualcosa insieme. I personaggi sono nati con loro e ho scritto il film avendo in mente le loro fisionomie. Pietro Casella ha un grande talento comico e sappiamo quanto sia sottile il crinale che separa il comico dal tragico. Altra componente importante, anche in Francesco e Fabrizio, è una grande fisicità. La prima cosa che sanno fare molto bene è sapersi muovere con il corpo nello spazio in cui si trovano.

LA PRODUZIONE
Il film è stato realizzato in modo del tutto indipendente, grazie innanzitutto al lavoro di chi vi ha partecipato, dai produttori in senso stretto alla troupe. Nel dividere il film in quote da distribuire fra noi, abbiamo stimato il budget intorno ai 350.000 euro, una piccola cifra che però non siamo riusciti a trovare e forse ad un certo punto ci siamo anche stufati di cercare. Fare questo film è stata anche una reazione alla palude in cui viviamo. Abbiamo deciso di rischiare e uscire dalle sabbie mobili piuttosto che accettare di restare fermi e farci inghiottire. Io credo che tentare di costruire qualcosa nonostante tutti gli ostacoli che ti infilano fra le gambe mentre vai per la strada che hai scelto di percorrere, sia il modo migliore di protestare.

LA TROUPE
Una delle cose più entusiasmanti della lavorazione del film è stato vedere come nel giro di mezza giornata il gruppo che si era formato intorno al progetto fosse diventato un corpo unico, una piccola orchestra che dopo un’accordatura inaspettatamente rapida riesce a suonare all’unisono senza problemi. La cosa è sorprendente perché la troupe del film era composta sia da persone di grande esperienza come Gherardo Gossi, che ha curato la fotografia degli altri miei film, o come il fonico Vito Martinelli con cui sto collaborando negli ultimi anni, o Diego Cavallo, organizzatore che aveva appena finito di lavorare in un film americano con Julia Roberts (!), sia da persone che si trovavano su un set quasi per la prima volta o persone che non avevano e non hanno nessuna intenzione di fare del cinema ma che si trovavano là per amicizia e allegria a lavorare con abnegazione. Abbiamo affrontato delle situazioni anche complicate come le riprese in metropolitana, praticamente rubate, con uno spirito picaresco. Ci siamo divertiti molto, vivendo con intensità la creazione di questo film. Credo che tutti conserveranno un bel ricordo della lavorazione di questo film; e questa è una cosa importante visto che fare dei film è in prima battuta un’esperienza di comunità.
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