Come pietra paziente di Atiq Rahimi

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locandina Come pietra paziente
 
Regista: Atiq Rahimi
Titolo originale: The Patience Stone
Durata: 102'
Genere: Drammatico
Nazione: Francia, Afghanistan, Germania
Rapporto:

Anno: 2012
Uscita prevista: 28 Marzo 2013 (cinema)

Attori: Golshifteh Farahani, Hamid Djavadan, Hassina Burgan, Massi Mrowat, Mohamed Al Maghraoui, Malak Djaham Khazal, Faiz Fazli
Sceneggiatura: Jean Claude Carrière, Atiq Rahimi

Trama, Giudizi ed Opinioni per Come pietra paziente (clic qui)...In questa pagina non c'è nemmeno la trama per non fare spoiler in nessun caso.
 
Fotografia: Thierry Arbogast
Montaggio: Hervé De Luze
Musiche: Max Richter
Scenografia: Erwin Prib
Costumi: Malek Jahan Khazai

Produttore: Michael Gentile
Produttore esecutivo: Philippe Gautier,Hani Farsi
Produzione: Agora Films, Corniche Pictures, Studio 37
Distribuzione: Parthénos

La recensione di Dr. Film. di Come pietra paziente
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Informazioni e curiosità su Come pietra paziente

Con la partecipazione di MINISTÈRE DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES ET EUROPÉENNES, MINISTÈRE DE LA CULTURE ET DE LA COMMUNICATION.

Tratto dal romanzo Pietra di pazienza di Atiq Rahimi, edito in Italia da Einaudi.


INTERVISTA A ATIQ RAHIMI
COME PIETRA PAZIENTE - Syngué Sabour è il suo secondo lungometraggio ed è l'adattamento del suo romanzo "Pietra di pazienza". L'idea di trasporre sul grande schermo quella storia si è imposta fin da subito?
Quando finii di scrivere Pietra di pazienza, il mio editore spedì il romanzo a varie personalità. Jean-Claude Carrière mi telefonò dalla sua casa nel sud della Francia in piena estate e mi disse "Trovo il tuo romanzo straordinario. Potrebbe diventare un bel film!". Negli stessi giorni Jeanne Moreau, che non conoscevo, mi scrisse un'email: "Il suo editore mi ha mandato il suo libro: l'ho adorato e potrebbe diventare un bel film!".

L'ambientazione in uno spazio chiuso non è stata un freno?
È sbagliato pensare che tutto quello che è circoscritto in uno spazio chiuso sia teatrale. Nella storia del cinema ci sono molti film che dimostrano che il confinamento non costituisce un ostacolo, ma rappresenta al contrario un autentico vantaggio dal punto di vista cinematografico.

Cosa poteva apportare in più un film al suo romanzo?
L'adattamento cinematografico pone un problema di ordine morale, etico. Ho naturalmente escluso l'ipotesi di ripetermi. Sono persuaso che ogni forma d'arte riveli una dimensione particolare di una storia. Quello che il cinema può raccontare non può essere narrato dalla letteratura. A seconda che sia fotografato, disegnato, descritto o filmato, un bicchiere non ha la stessa realtà. Il cinema è innanzitutto una questione di tempo. In TERRE ET CENDRES, ho filmato l'attesa durante il lutto. Per COME PIETRA PAZIENTE, ho detto a Jean-­-Claude Carrière fin dall'inizio della scrittura della sceneggiatura "Voglio filmare la parola!". Jean-­-Claude mi ha subito risposto con una magnifica frase di Ingmar Bergman "Una storia raccontata non è la stessa che viene ascoltata". Dunque, il campo delle possibilità è enorme.

Come si fa a filmare la parola?
Filmando la parola come un atto e non come una trasmissione di informazione. Il cinema è la sola arte in cui è possibile mostrare contemporaneamente un'infinità di situazioni. La parola, ma anche il pensiero, i gesti. In COME PIETRA PAZIENTE c'è una sequenza in cui la donna accarezza l'uomo: inizialmente il suo sguardo è rivolto verso l'esterno, poi si gira verso il volto di suo marito e gli dice: "Purché una pallottola vagante ti finisca!". Questa frase crudele entra in contraddizione con la tenerezza del suo sguardo e del suo gesto. E così l'ambiguità dell'essere umano si rivela sullo schermo. In letteratura, avrei dovuto spiegare tutto e il testo avrebbe perso tutta la potenza suggestiva.

In COME PIETRA PAZIENTE la parola è un veicolo di emancipazione..
La parola è al centro dei miei due film. TERRE ET CENDRES è la storia di un vecchio che si domanda "Come faccio a dire a mio figlio che sua moglie è stata uccisa? Come posso raccontare la morte?". Suo nipote diventa sordo a causa dei bombardamenti. È convinto che la guerra abbia privato le persone della propria voce. COME PIETRA PAZIENTE invece è la storia di una donna che si rivela attraverso la parola. Io sono il prodotto di una cultura in cui l'oralità è fondamentale in un Paese dove il 95% della popolazione è analfabeta. Nell'espressione orale prevale il ritmo ed è per questo che la poesia e i racconti sono importanti. Tuttavia, si tratta di una parola piuttosto limitata rispetto alla scrittura e in quanto fenomeno sociale implica un certo grado di autocensura: dire o non dire, questo è il problema!

Aveva dei riferimenti cinematografici precisi preparando questo film?
THE HAND, il segmento di Wong Kar-­-wai del film EROS, in cui si vede una prostituta e il suo giovane sarto che le prende le misure con le mani. Tra loro si crea un rapporto torbido e sensuale. Del resto, c'è un riferimento diretto al film: la seconda volta che la mia eroina fa l'amore con il giovane soldato, esce dal bagno e la musica che accompagna il suo movimento è molto vicina a quella utilizzata da Wong Kar-­-wai. Un altro riferimento che avevo in mente era GERMANIA, ANNO ZERO di Roberto Rossellini. Gli interni della casa con la famiglia ammassata in una piccola stanza, il padre malato, il fratello braccato e soprattutto il ragazzino che vaga in mezzo alla devastazione, come la mia eroina. Tutte le inquadrature delle strade di Kabul in rovina sono direttamente ispirate a Rossellini. Infine, SUSSURRI E GRIDA di Ingmar Bergman che descrive grossomodo la stessa situazione. Il film di Bergman è rosso sangue, in PIETRA PAZIENTE, invece, il colore dominante è l'azzurro, il colore del velo delle donne afgane che rivela i loro sogni nascosti.

Ha sempre avuto un rapporto particolare con le immagini?
Sono nato in un ambiente letterario in cui la poesia domina ogni sorta di creazione. Quando ero adolescente, volevo allontarmene perché nella poesia l'io è anonimo. Nella nostra cultura, il soggetto, quindi l'individuo non esiste e ci definiamo in relazione a una famiglia, a una tribù, un paese, una società, una religione, nessuno parla mai in prima persona. In un film come in un romanzo, al contrario, ogni cosa è personificata e la finzione è l'avventura di un individuo in una determinata situazione. Fare cinema e andare al cinema restano uno straordinario modo per aprirsi sul mondo. Il mio lavoro è sempre stato visuale. Ricordo molto bene la prima volta che ho visto in vita mia una delle mie creazioni pubblicate: era uno dei miei dipinti sulla copertina di una rivista per giovani. Era il 1973, avevo 11 anni e vivevo ancora in Afghanistan. Me ne ricordo perfettamente, poiché il 1973 è una data importante per me: è l'anno in cui mio padre fu arrestato a seguito del colpo di stato che rovesciò la monarchia. Ero rimasto traumatizzato da quell'evento e un'amica di mia madre mi consigliò di dedicarmi alla pittura per esorcizzare le mie angosce.
Qualche tempo dopo iniziai a frequentare l'Alliance Française a Kabul dove potevo vedere dei film francesi. Uno dei miei zii, grande appassionato di western, mi portava al cinema. A quell'epoca c'era una decina di sale cinematografiche a Kabul e andare al cinema era un rito: ci andavamo tutti i giovedì, mettendoci la giacca e all'ingresso della sala c'era il tappeto rosso. Era un rituale sacro!

Come già in TERRE ET CENDRES, in COME PIETRA PAZIENTE mette in pratica una certa unità di luogo.
La stanza rappresenta l'interiorità del mio personaggio: era necessario restarci per mostrare il momento in cui arriva a mostrarsi, come avviene in tutte le tragedie classiche. Qui, la mia eroina, rinchiusa nella propria casa, condannata a vegliare il marito, prende coscienza del suo corpo e della sua condizione. Tutto a un tratto, subisce un'umiliazione. Mostro il mio personaggio un attimo prima dello shock emotivo e fisico che subisce e poi seguo la sua evoluzione.

Malgrado il paese in cui si svolge la storia non sia mai citato in modo diretto, riconosciamo l'Afganistan
L'Afganistan cristallizza tutte le contraddizioni umane possibili. Per me, oggi l'Afganistan è come Guerre Stellari di George Lucas: da un lato, la vita assomiglia a quella del Medio Evo (il modo di vestire, le relazioni sociali, i valori religiosi...) e dall'altro dispone degli armamenti più sofisticati del mondo. È interessante filmare queste contraddizioni, è un paese dove ogni cosa si rivela: gli esseri umani, la luce, le montagne, la natura, la guerra, la politica, la religione.. È molto cinematografico!

Oltre alla parola, anche il corpo consente la liberazione...
La donna afghane, come tutte le donne del mondo, ha un corpo, dei sogni, dei desideri, dei piaceri.. In una società maschilista, le è negato tutto. Il film è ambientato in Afghanistan dove troviamo gli uomini con la barba, i talebani e in mezzo a loro c'è una donna che sente delle cose.
Affinché un essere umano oppresso in un Paese come l'Afganistan possa finalmente prendere la parola, bisognava innanzitutto paralizzare il sistema dittatoriale. Attraverso il corpo inerte del marito, è tutto il regime che viene immobilizzato, ferito, e il corpo dell'eroina può finalmente aprirsi e sbocciare. Prendete il giovane soldato: si crede superiore, come tutti gli uomini, ma quando scopre l'amore e la debolezza del suo corpo, ogni cosa cambia in lui. Più che di una donna, io qui parlo di un essere oppresso a livello sessuale, religioso, politico, culturale, sociale.. La donna non è neanche idealizzata.

È vero, ma lei utilizza una parabola piuttosto salace, rendendo Khadija, la moglie di Maometto, il vero profeta...
Quella leggenda, presente nel Corano, mi ha sempre affascinato. Khadija era più anziana di Maometto, era una commerciante, una donna d'affari, viaggiava e contrattava... Si innamorò di Maometto, un uomo giovane e attraente. Un giorno Maometto andò a trovarla in preda all'agitazione "Temo di diventare matto, sento voci che escono dalle pietre, vedo una creatura enorme che si presenta a me e vuole afferrarmi... Ho paura!" Khadija, totalmente priva di veli, si mette davanti al demone che scompare. Dunque non si trattava di un mostro, poiché ha rispettato la sua nudità. Come interpretare questo sul piano politico, religioso, psicanalitico? Possiamo spingere oltre l'interpretazione e pensare che Khadija offra interamente il suo corpo alla creatura.
La mia eroina opera un transfert.. Ascolta la storia raccontata dalla voce del mullah. Volevo che in quel momento il suo velo cadesse e lei lasciasse apparire il suo volto, come una rivelazione. Del resto, alla fine dirà "Sono una profeta!".

La questione della sessualità femminile è determinante nel film, in particolare attraverso la prostituzione. Per quale motivo?
In tutti i paesi che esercitano la frustrazione sessuale, c'è un numero enorme di case chiuse. La ragione per cui ho scelto di rendere la zia una prostituta è che, innanzitutto, amo quelle donne, il loro coraggio, il loro modo di dominare gli uomini con il loro corpo. Di fronte a loro, gli uomini diventano dei bambini. È una sorta di vendetta. È grazie al contatto con la zia che la mia eroina prende coscienza della sua libertà e si rivela. La zia diventa la sua maestra spirituale. L'universo della prostituzione è spesso un universo esclusivamente femminile. Certo, esiste anche l'aspetto sordido della professione, ma in questo caso io volevo utilizzarla come simbolo di una ribellione femminile possibile. Ma attenzione: nel mio film, la prostituzione non è la soluzione, è una possibilità metaforica. E a volte è anche la sola risorsa per le donne afgane ripudiate dalla loro famiglia o dal marito.

Come e perché ha scelto Golshifteh Farahani?
Un produttore mi aveva proposto di girare il film in lingua inglese con Penelope Cruz. Jean-­-Claude Carrière e io eravamo fermamente intenzionati a realizzarlo in lingua afgana, in farsi. Dunque, quale attrice afgana scegliere, considerando che la mia eroina è in tutte le scene? Ci voleva un'attrice forte, in grado di catturare lo spettatore. Ho organizzato delle audizioni con una serie di attrici afgane e iraniane. È stato in quel momento che ho visto ABOUT ELLY e ho trovato Golshifteh straordinaria. Jean-­-Claude Carrière ha organizzato un incontro a casa sua. All'inizio, la sua bellezza mi ha un po' spaventato, avevo paura che catalizzasse troppo l'attenzione. Abbiamo fatto una serie di provini e ho subito capito che la mia attrice poteva essere soltanto lei. L'ho filmata senza trucco e ho visto come assorbiva la luce per poi irradiarla. Era fondamentale che quella bellezza non rimanesse celestiale, ma che, al contrario, avesse una dimensione carnale.

Come ha reagito leggendo la sceneggiatura?
E' venuta a trovarmi e mi ha detto: "Atiq, se non mi scegli per questo film, prendo il romanzo e vado a recitarlo nelle strade di Parigi!". Non potevo certo ignorare una simile determinazione. Golshifteh è una militante, sa il fatto suo e capisce sia le donne sia gli uomini. È nata in Iran subito dopo la rivoluzione. Sa cosa significa vivere in una società maschilista. Un passato simile non era una condizione sine qua non per interpretare il ruolo, ma sicuramente è stato un vantaggio: ha quel che si chiama "l'esperienza dei sentimenti"

Il film è strutturato come un monologo interiore. Non deve essere stato un compito facile per la sua attrice.
Direi piuttosto un dialogo in cui si articolano le parole della donna e i silenzi dell'uomo. Sì, è stata una vera sfida, a maggior ragione perché non ho voluto fare la post-­-sincronizzazione e ho scelto la presa diretta. Nel film non c'è una voce narrante. Ho fatto impazzire Golshifteh con le mie scelte: ha dovuto imparare pagine e pagine di dialoghi in pochissimo tempo!

Il ritmo della regia è estremamente preciso.
Nel romanzo le frasi sono corte, invece nel film ho optato per i piani sequenza. Inoltre, volevo che la macchina da presa si muovesse in continuazione senza che lo spettatore lo percepisse. Ogni movimento di macchina era preciso. Il direttore della fotografia era francese, ma l'operatore parlava farsi perché volevo che la macchina da presa fosse in un punto preciso a seconda di certe parole che venivano dette.

Perché la macchina da presa in costante movimento?
La macchina da presa è sempre con la donna, contrariamente alla voce narrante del romanzo che non lascia mai la stanza e l'uomo. Nel libro, il narratore è paralizzato tanto quanto il marito. Nel film, ho voluto stare con la donna, sempre al suo fianco.

Non ha paura delle reazioni di certi estremisti religiosi?
Finché nessuno nei nostri paesi metterà in discussione l'interpretazione della nostra storia e dei nostri miti, nulla cambierà. Guardate che cosa è successo ultimamente: basta che qualcuno si indigni perché il popolo imbracci le armi e faccia degli attentati.. Bisogna quindi mostrare ai musulmani il significato nascosto dei nostri miti. Noi siamo in grado di reinterpretare la nostra storia: è un rischio che dobbiamo assumerci ed è il prezzo che dobbiamo pagare. Il film è stato visto dal comitato dei cineasti afgani che l'ha proposto per rappresentare il paese agli Oscar. È stato anche proiettato in una sala cinematografica di Kabul davanti a un pubblico di studenti di Belle Arti. Ho ricevuto e-mail di encomio. Non sono sicuro che si riesca a cambiare la mentalità del mio paese per mezzo di azioni militari, anche se a volte possono essere necessarie. L'istruzione e la cultura hanno un ruolo fondamentale da svolgere. Non abbiamo bisogno di una rivoluzione politica, ma culturale. Se anche non dovessi riuscire a risvegliare le menti assopite, vorrei almeno disturbare il loro sonno.

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